Lollove

Case spoglie fatte di pietra, fatte alla sarda. Alcune conservano ancora gli intonaci colorati di un rosa antico, di cobalto e magenta. Solo poche travi accennano a un tetto di vecchi legni con tegole rosse che ancora si conservano, sulle creste dei muri.
In una di queste case se ne trovano alcune, riposte in una nicchia intonacata di bianco con uno scaffale in legno, simulacro di quello che un tempo era un luogo abitato. E guardo il cielo incorniciato in quelle pareti, tra quelle poche travi di legno, dove nuvole bianche scandiscono un cielo azzurro che dona sollievo in quell’insolita ora d’aria; inattesa e profonda. Immagino, vivo nella mia testa, la vita semplice di quei luoghi in un tempo lontano e invariato come il panorama che si può osservare fuori da questi spogli balconi. Dimora di poche anime, silenziose e percepibili come fantasmi, che sussurrano un qualcosa di incomprensibile nei pensieri di chi visita queste stanze, queste strade, questo silenzio.
Un silenzio che accompagna in ogni via, gioca con i miei passi e le mie pause. Un silenzio che prende forma e aspetto in quella di tre gatti, uno giocoso e sempre presente, altri due più schivi, fedeli guide dall’aspetto rassicurante.
Attraverso con loro il letto di un fiume tombato dove ancora scorrono il tempo e le storie, rapide come l’acqua che in passato divideva questo pugno di case in due parti, aldiquà e aldilà. Marcate da pietre che senza mutare aspetto più vite hanno vissuto.               

Lollove, destinata a vita eterna, ma nella memoria di chi ti incontra nel suo cammino, di disincanto in incanto come l’acqua del mare.

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